25 settembre 2009

Di Santa ed altre 'nchè


Come al solito cerchiamo di far passare le nostre mancanze per le colpe degli altri...

Mi riferisco all'episodio che ha coinvolto la signora Santanchè ed i burqa islamici ed a quel simpatico episodio in un supermercato padano, che potremmo chiamare "il burqa e l'intolleranza". Premetto che riguardo al primo episodio patteggio per la comunità islamica. Per il secondo invece mi sono trovato in un piccolo empasse. La nostra legge (che ritengo doveroso seguire) impone, per ragioni di sicurezza pubblica, di presentarsi nei luoghi pubblici sempre (e senza eccezioni, compreso il carnevale) con il volto non occultato o celato da maschere o bende che ne impediscano il riconoscimento. E' altrettanto vero che, sempre la nostra legge, tutela e favorisce l'espressioni di culto (qualsivoglia esso sia). Va da se che le due cose si contraddicono se mettiamo nel mezzo la questione del famoso burqa. Per risolvere questa empasse è arrivata splendente mia moglie con una frase talmente semplice da risultare geniale. "Ma perchè a quella straniera che ha il burqa le hanno dato il permesso di stare qui in Italia?". "Giusto!" Le ho subito dato ragione, perchè la religione in questo caso impone delle regole di comportamento (che non sono obbligatorie come le leggi ma vanno seguite comunque) che sono in contrasto con le leggi italiane.

Secondo questo ragionamento le donne che seguono i dettami della religione che prevede l'occultamento del proprio viso negli ambienti pubblici sono da considerarsi fuorilegge e quindi persone non benvenute nel nostro paese. L'errore a questo punto non è più dell'immigrata (parlo al femminile perchè gli uomini, non violando la legge, sono i benvenuti) che indossa il burqa in pubblico (come del resto la sua cultura prevede) ma di chi era preposto al controllo al suo ingresso in Italia che evidentemente non ha svolto bene il suo dovere.

Ho parlato solo del burqa e non del velo perchè di fatto lascia scoperto il volto consentendo di non violare la legge italiana, anche se la signora Santanchè (visto le immagini dei vari TG che hanno fatto vedere il servizio) ha provato a strappare un velo (e non un burqa ) ad una donna. Forse la reazione, di chi stava festeggiando quello che per noi cristiani può rappresentare la pasqua, forse vi sarà sembrata esagerata od eccessivamente violenta, ma provate ad andare in un convento di suore a strappare via il velo (o tutto il vestito secondo la versione della Santanchè) e vedrete che le miti suore si trasformeranno in belve fameliche pronte a spolparvi vivi. Perchè quel velo non è solo un indumento od un ornamento di persone appartenenti ad una cultura diversa dalla nostra ma rappresenta un Voto verso Dio (o come lo si voglia chiamare) e rompere un Voto verso il proprio Dio rappresenta in tutte le culture un "suicidio spirituale".

23 settembre 2009

D come disattento


Recentemente mi è capitato di riflettere sul comportamento dei genitori nei riguardi dei loro figli. Il compito che spetta ad un genitore, lo riconosco, è dei più ardui che la vita ci possa riservare. A loro, infatti, spetta non solo il prendersi cura fisicamente dei propri figli (ed a volte dei figli di altri) provvedendo a sfamarli, curarli e quant'altro un figlio necessiti, ma hanno anche l'obbligo morale di istruirli ed educarli. Ultimamente però noto alcuni comportamenti dal mio punto di vista incomprensibili.

Qualche giorno fa, infatti, mentre facevo alcune compere nel comprensorio della provincia di Firenze, mi sono imbattuto in un genitore al dir poco disattento. Stavo tranquillamente percorrendo in macchina una strada a due corsie e doppio senso, stretta a tal punto da non consentire (in condizioni di traffico pesante) il sorpasso ai motorini. Questo signore che chiamerò D. (disattento) per comodità, essendo sabato ed evidentemente libero dal suo lavoro, aveva deciso di andare a prendere le sue due figlie all'uscita della scuola. Azione più che lodevole per coltivare un buon rapporto Padre/Figli.

Per poter prendere le sue figlie poteva scegliere se parcheggiare in un parcheggio lì vicino(50 metri al massimo) e fare due passi a piedi oppure bloccare il traffico all'interno del piazzale della scuola sperando nella rapidità delle sue due figlie di circa undici anni (ad occhio e croce). La scelta di D. è stata invece di accostare la macchina al marciapiede della strada, creando così un pericolosissimo doppio senso alternato.

Quando sono sopraggiunto io con la mia macchina D. stava giusto attraversando la strada (ovviamente nel punto più vicino alla macchina) ignorando completamente le strisce poste ad una decina di metri da lui e dalle sue figlie. Esortando le figlie a passare prima che passassi io D. ha fatto cadere lo zaino/trolley di una delle due, questo ha fatto si che i tre si dividessero. D. e una delle sue figlie da una parte della strada, l'altra figlia in mezzo alla strada accanto alla macchina. Ovviamente ho suonato il mio clacson per avvertire del mio passaggio in modo che, almeno, potessero accorgersi del passaggio imminente di una macchina e potessero evitare di fare movimenti improvvisi ed ancora più pericolosi. So di aver sbagliato e che dovevo fermarmi dando la precedenza, anche in assenza di strisce, comunque ai pedoni, ma ero intenzionato a liberare al più presto quello spazio per evitare un aggravarsi della situazione(vedi il motorino dietro di me che fremeva dalla voglia di passare). Ma forse proprio per il mio colpo d'avvertimento D. ha capito che mi ero accorto della situazione e ha deciso di attraversare trascinandosi dietro la figlia e lo zaino/trolley. Ovviamente ho rallentato ulteriormente, provocando così il sorpasso immediato del motorino che era dietro di me e che è passato a bruciapelo dello zaino. D. mi ha apostrofato con un "Ma non vedi che ci sono le bambine" ed io che non ho potuto trattenermi ho risposto "Allora insegnagli meglio ed a passare sulle strisce".

Mi sono veramente arrabbiato con lui e con quel suo modo di pensare egoistico a tal punto di usare le sue figlie a mo' di scudo per le sue mancanze.

Lo ripeto, essere genitore è una delle cose più difficili a questo mondo e cercare scorciatoie che facilitino il compito non credo aiuti realmente nessuno. Anzi poi magari quelle "scorciatoie" si riperquotono sul carattere o sull'educazione dei figli e renderanno ancora più arduo il compito iniziale del genitore.

19 settembre 2009

Odio gli indifferenti

Questa non è farina del mio sacco ma sono pienamente daccordo con lui. Lo pubblico su suggerimento di un mio caro amico.


Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci

15 settembre 2009

Cuore d'Italia


Questo pomeriggio mi sono soffermato a riflettere assieme ad un mio vicino di lavoro sul cambiamento della società italiana. Il tema era incentrato sui ricordi scolastici del libro "Cuore" di De Amicis. Nel libro si apre un breve ed intenso spaccato della società italiana dell'epoca (fine '800) attraverso la visione del non-mi-ricordo-più-come-si-chiama protagonista e dei suoi compagni di scuola. Una società patriarcale, rigida ma onesta in cui l'obbiettivo della vita non era arricchirsi a tutti i costi ma guadagnare il rispetto delle persone che ci circondavano, anche (e forse soprattutto) di quelle che non conosciamo.

Ripercorrendo a stralci il libro ci siamo imbattuti in uno dei "racconti del mese" e per la precisione quello della "piccola vedetta lombarda", in cui un ragazzino di non più di undici anni perde la vita per "amor di patria". "Racconto a dir poco assurdo" mi ha detto l'esimio collega della ditta accanto "ma figurati se un bambino di quell'età, mentre gli sparano addosso, continua, anche più intrepido, ad avanzare contro il nemico. Assurdo, no?"

Per un attimo ho esitato nel rispondere, confrontando i bambini di adesso con quella piccola vedetta. Ma poi ho ripensato ai miei nonni, alle persone che hanno vissuto quel periodo, a quelli che sono morti per un ideale e quelli che, alla fine, quell'ideale lo hanno piegato ai loro voleri e lo hanno schiacciato sotto la forza dei loro soldi, quell'ideale chiamato Italia unita. Mi sono arrabbiato contro di lui. Niente si serio, solo una piccola divergenza di opinioni fra "colleghi da caffè".

Il punto è che quel racconto, oltre ad essere propagandistico e retorico è un ricordo abbastanza chiaro del fatto che noi italiani non siamo sempre stati pecoroni e succubi di un potere più grande del nostro ma abbiamo anche cercato di migliorare la nostra condizione. Certo è che se pensiamo egoisticamente a salvare la pelle, non potremo neanche rischiare di trasformare questo paese nel famoso "Bel Paese" che tutto il mondo conosce e da cui troppo spesso gli italiani vengono privati.
Certo che 150 anni sono tanti ed un popolo è giusto che cambi, che si evolva in qualcosa di nuovo.


Ma credo che dobbiamo difendere le Libertà, che per noi hanno conquistato i nostri avi, in tutte le sue forme.

La Libertà di stampa, di espressione, di culto, etc, etc.

Se anche una di queste Libertà ci viene negata o ci viene ostacolata da forme più o meno celate di violenza (la censura la ritengo una forma di violenza intrinseca) credo che sia giusto prendere tutto quello di cui si dispone per potersi ribellare. Senza mai scendere, a nostra volta, sul piano della violenza.
Non sono nessuno per poter dire o suggerire cosa sia giusto fare, ma so che il non fare niente è sbagliato.

01 settembre 2009

Puntini sulle i



In questo post vorrei precisare alcune cose che, a mio parere, sono state travisate da alcuni lettori.


Spesso mi ritrovo a criticare pesantemente il "modus operandi" dell'Italia, delle sue regole, modi di fare sia del governo sia dei cittadini. Non vuole questo essere una mera critica atta esclusivamente a denigrare un paese ed il suo popolo, ma vuole essere un modo per cercare di spronare lo stesso alla ricerca ed al raggiungimento di un più alto livello di società. Prevenendo le vostre di critiche, non mi sto mettendo su un pulpito più alto a giudicare, prendo (e pretendo di avere) le mie colpe come tutti credo dovrebbero fare. Nessuno mi ha promesso un mondo perfetto, sarei stato troppo ingenuo per credergli, e se è vero che questo mondo non è mio ma mi è stato dato in prestito dai miei figli, vorrei poter migliorare quello che mi hanno dato. La perfezione è utopia ma la sua ricerca non è un lavoro inutile. Continuerò a criticare ciò che ritengo sbagliato per poterlo correggere. Se vi sentirete offesi dalle mie parole, se non condividerete ciò che scriverò, se ritenete che le mie proposte siano stupide (se mi dovete porre dieci domande) siete liberi di dirmelo sia in forma scritta sia in forma verbale, proverò ancora a spiegarvi le mie ragioni ed ascolterò le vostre.