22 marzo 2011

Catastrofe nella catastrofe

Era sera ormai e mi accingevo come al solito a tornare a casa. Le solite azioni di congedo dal lavoro. Il saluto con i colleghi. I soliti scherzi. Il badget che sfila veloce e poi... Mi inchiodo.
Al televisore della hall dell'aeroporto dove lavoro io stanno trasmettendo l'edizione straordinaria della PNN. Immagini di una catastrofe apocalittica. La mia mente stenta a mettere a fuoco, non capisco. Il suono non c'è e non posso capire dalla viva voce dello speaker cosa sta succedendo. Vedo di tutto. Macchine che volano a mezz'aria. Case che navigano su fiumi di melma. Corpi straziati che affiorano improvvisamente. Fuochi in lontananza. E poi un lampo improvviso che rende tutto il paesaggio ancora più spettrale.
Questo si. L'ho capito. Ho capito il fumo che si leva in lontananza con quella forma inequivocabile. E' successo ciò che non doveva succedere. E' successo l'irreparabile.

Appena mi "risveglio"dal mio torpore, cerco un responsabile della hall e gli chiedo di alzare il volume per poter sentire finalmente il suono di quella voce che dovrebbe confermare le mie paure. Anche se di conferme non ne ho davvero bisogno. I miei occhi confermano ciò che la mia mente non vuole accettare. L'orrore.

Nello stesso momento in cui chiedo quel semplice favore al responsabile della hall, dagli arrivi inizia ad uscire il primo capannello di persone. Sono stremati. I visi sconvolti dalla fatica e provati dal viaggio. Ad alcuni di loro scappa un sorriso malinconico. Qualcuno vedendo i famigliari inizia a piangere. Alcuni si abbracciano. Altri accorgendosi della tv si fermano anche loro a guardare inorriditi. Altri ancora senza neanche alzare lo sguardo da terra filano via spediti per guadagnare l'uscita.

Poi improvvisamente mi balena per la testa che quei passeggeri potrebbero aver portato con se un carico di morte. Ignari delle proprie azioni, potrebbero essere loro il pericolo più grave per me e per la città, in questo momento. Non lo posso ignorare. Non posso far uscire nessuno da qui finché non vi è la certezza che non ci sono rischi di nessun genere. Ignoro il responsabile della hall e scatto via ai pannelli d'emergenza. Con un rapido gesto faccio scattare l'allarme quarantena. L'aeroporto s'irrigidisce di colpo. I cancelli chiusi. Le porte sbarrate. La sirena che fischia copre qualsiasi suono. Nessuno può entrare. Nessuno è uscito. Nessuno può lasciare l'aeroporto. Mi sento quasi un eroe.

Dopo pochi secondi la sirena smette di urlare. Una voce al microfono spiega ai passeggeri attoniti che è scattato l'allarme quarantena e che dovremo aspettare l'arrivo di una squadra medica speciale. Spiega anche che si tratta di una normale procedura di controllo. Spiega che non c'è bisogno di creare il panico. Dovremmo attendere parecchio, sembra che ci siano imprevisti sulla strada per arrivare in aeroporto. Forse dovremo aspettare delle ore... Pazienza per la salute questo ed altro.

Osservo un gruppo di ragazzi che nonostante tutto continuano a scherzare. Sento le loro voci e le loro risate fuori luogo. Mi avvicino a loro. Devo chiedergli un po' di contegno per la situazione. Rispetto per gli altri passeggeri.

Poi sento uno di loro che dice agli altri: Sembra che ci toccherà aspettare qui almeno due ore, bhè almeno non ci annoieremo, guardate, in tv stanno passando l'ultimo film di Serpentino "Catastrofe nella catastrofe". Infatti sullo schermo che osservavo prima, iniziano a sfilare i titoli di testa del film. "CATASTROFE NELLA CATASTROFE" e poi "A FILM BY SERPENTINO" "TANKS TO PNN FOR LOCATION".

Oooops.


Dedicato a quei "giornalisti" che prima di mettere in moto la penna si "scordano" di accendere il cervello.

I fatti e gli avvenimenti qui sopra descritti sono frutto della fantasia dell'autore. Ogni riferimento a cose o persone realmente esistite è da ritenersi puramente casuale. ©BxtarD

13 marzo 2011

11-03-11 Magnitudo 9.0

Un altro post, anche se avevo detto nel precedente che non avrei più scritto se non per rispondere a chi avesse voluto commentare...

Oggi è domenica e mi appresto ad andare a letto. Sono stanco mentalmente. Ho passato gli ultimi tre giorni ad aiutare mia moglie a condividere informazioni sui social network. E' stato un lavoro estenuante, soprattutto per lei. Ma credo sia bene iniziare dall'inizio.

Giovedì scorso 10 marzo 2011 tornato a casa dopo il lavoro io e mia moglie, come tutte le coppie che si rispettano abbiamo cenato insieme e dopo ci siamo dedicati al nostro "hobby" preferito, o meglio io mi sono dedicato al mio hobby e lei ha continuato il suo lavoro. Il mio hobby preferito è giocare e/o spulciare su facebook in cerca di qualche link carino o qualche idea simpatica da intraprendere. Giovedì invece mi sono imbattuto in un post di una nostra amica italiana che si è trasferita a Tokyo da poco e che si "lamentava" abbastanza leggermente di una scossa di terremoto di magnitudo 6 circa avvertita lì dove abita. Ho subito riportato questa "notizia" a mia moglie e da lì è nato un piccolo diverbio. Il fatto era che noi italiani non essendo abituati e preparati ai terremoti ci spaventiamo troppo facilmente per una cosa che in Giappone avviene mediamente ogni 5 minuti. Dopo aver appianato la cosa e capito il punto di vista nipponico sui movimenti tellurici siamo andati a letto e abbiamo dormito tranquillamente.

La mattina dopo, venerdì 11 marzo 2011, mi sono svegliato tranquillamente come al solito alle 7 ed aspettando che il caffè facesse capolino dalla moka mi sono messo a spulciare ancora un po' FB. La notizia del momento era che un nostro amico giapponese stava tornando finalmente a casa "con le sue gambe".

La cosa mi ha stupito, visto che laggiù erano appena le 15 e che era troppo presto per una sbronza. Il pensiero è subito corso al terremoto del giorno prima (della mattina visto il fuso orario), ma anche in questo caso le cose non tornavano. Un giapponese non si spaventa per un 6.0 e sopratutto la città intorno a lui non smette di funzionare se non per i pochi minuti del sisma.
C'erano insomma un po' troppe incongruenze e la cosa andava approfondita, ma soprattutto io dovevo andare a lavorare prima di perdere il posto per assenteismo...

Arrivato sul posto di lavoro, dopo una visita ad un cliente, ho ricevuto la telefonata di una nostra amica che aveva visto al tg cosa era successo. Entrato in ditta, ancora più allarmato, verso le 9.30 riesco a raggiungere la postazione internet e spulciare altri post su FB. Ciò che ho trovato era molto preoccupante. Di corsa ho aperto tutti i siti d'informazione che conosco e mi sono trovato davanti l'apocalisse.

Terremoto Magnitudo 8.8 (poi rivisto a 9.0) poco lontano dalle coste del Giappone e tsunami con onde fino a 10 mt.

Non sapevo se telefonare a mia moglie per svegliarla, non sapevo cosa fare, avrei voluto telefonare immediatamente in Giappone ma mi rendevo conto che in situazioni del genere i telefoni è meglio lasciarli liberi per chi ha più bisogno. Ho continuato a guardare inerte il Tg.

Poco dopo ricevo una chat da mia moglie, si era svegliata ed allarmata da ciò che aveva letto su twitter aveva iniziato a guardare il tg anche lei.

Quando a fine sera sono tornato a casa, l'ho trovata sconvolta che twittava e contemporaneamente mandava messaggi con Skype. Quando mi ha visto, ancora shockata fra la commozione e l'impotenza mi ha chiesto scusa per "non aver lavorato" ai suoi progetti. Così dopo che l'ho forzata a mangiare qualcosa, insieme abbiamo iniziato a messaggiare tutte le informazioni che riuscivamo a trovare traducendole dove possibile. Ascoltavamo alternativamente i Tg in giapponese, inglese ed italiano e prendevamo più notizie possibili da alcuni siti di riferimento. Non so se abbiamo realmente reso un servizio a qualcuno, ma ci è sembrata, alla distanza di più di 9000 km dall'accaduto, l'unica cosa che potevamo fare. Lei ha continuato fino alle 3 o 4 di notte questo servizio e poi è crollata. Il giorno dopo, sabato, dalle 9 abbiamo ripreso il "lavoro".
Ho tentato di fare le cose che c'erano da fare a casa da solo, visto la sua caparbietà nell'operare su internet.Abbiamo continuato così fino ad adesso.

Abbiamo ancora tutte le immagini del disastro che ci scorrono davanti. Il suono dei lamenti sommessi provenienti dalla popolazione piegata dallo tsunami. L'incessante allarme delle sirene anti-tsunami ed il continuo bip-bip dalla televisione giapponese che ci avverte di un'altra scossa. Ogni volta guardiamo spaventati, ogni volta ci costringiamo a guardare, ogni volta speriamo di non sentirlo più, ma ormai è dentro di noi e anche se sappiamo che è solo il replay di ciò che abbiamo già visto lo riguardiamo per sicurezza di non aver perso niente la prima.

Come dicevo prima è un lavoro estenuante, siamo stanchissimi. Ma nessuno di noi due si vuole veramente riposare, per paura di crollare. Anche adesso che le notizie non si susseguono come all'inizio, che ormai ci sono poche cose ancora da raccontare e che la situazione sta andando verso la stabilità, non vogliamo distogliere lo sguardo, non vogliamo rifiutare di dare una mano, per quanto piccola possa essere.

La verità, forse, è che ci sentiamo in colpa. Amiamo quel paese, lo conosciamo bene, sappiamo come muoverci, ma siamo qui in Italia e non possiamo andare a abbracciare nessuno. Non possiamo sussurrare all'orecchio di nessuno parole confortanti. Non possiamo scaldare col nostro calore il cuore di nessuno dei nostri cari che sono lì.

Ci sentiamo impotenti ma fortunati. E' questa la nostra colpa.